Stato e rivoluzione

Stato e rivoluzione. La dottrina marxista dello Stato e i compiti del proletariato nella rivoluzione
Titolo originaleГосударство и революция. Учение марксизма о государстве и задачи пролетариата в революции
Copertina della prima edizione
AutoreLenin
1ª ed. originale1918
Generesaggistica
Sottogenerepolitica
Lingua originalerusso

Stato e rivoluzione. La dottrina marxista dello Stato e i compiti del proletariato nella rivoluzione (in russo Государство и революция?, Gosudarstvo i revoljucija) è un saggio scritto da Lenin dall'agosto al settembre 1917 e pubblicato nel maggio del 1918. Ha per sottotitolo La dottrina marxista dello Stato e i compiti del proletariato nella rivoluzione.

Già da un anno Lenin intendeva scrivere uno studio sulla questione dello Stato, e aveva raccolto in un quaderno la documentazione necessaria, composta di citazioni tratte da scritti di Marx, Engels, Kautsky, Bernstein, Pannekoek e altri. Iniziò la stesura di Stato e rivoluzione nel villaggio di Razliv, presso la frontiera finlandese, proseguendola a Jalkala e poi a Lahti e a Helsingfors, in Finlandia, dove si era nascosto per sfuggire al mandato di cattura spiccato contro di lui dal governo provvisorio di Kerenskij. Il saggio doveva essere pubblicato sotto lo pseudonimo di F. F. Ivanovskij, per evitarne il sequestro, ma l'avvenuta rivoluzione d'ottobre rese inutile tale precauzione.[1]

Lenin

Come scrive Lenin nella prefazione alla prima edizione,[2] il problema dello Stato aveva assunto una particolare importanza teorica e politica, nel momento in cui la guerra in corso aveva accelerato il processo di trasformazione del capitalismo monopolistico privato in capitalismo monopolistico di Stato. Gli Stati dei diversi paesi, in stretta unione con le associazioni degli imprenditori, avevano acuito l'oppressione dei lavoratori con il pretesto della necessità che tutti collaborassero al conseguimento della vittoria nella guerra imperialistica, una guerra « per la spartizione e la ridistribuzione del bottino » tra i paesi vincitori ai danni di quelli sconfitti.

Contemporaneamente, la guerra aveva suscitato in ciascun paese coinvolto un'ondata di patriottismo e, in particolare, aveva fatto sorgere nei vari partiti socialisti una corrente « socialsciovinista », ossia « socialista a parole e sciovinista nei fatti », che sosteneva la prosecuzione della guerra fino alla vittoria del proprio paese. Ne erano principali esponenti, in Russia, Plechanov, Potresov, Breško-Breškovskaja, Rubanovič e, « in forma appena velata », Cereteli e Cernov; in Germania, Scheidemann, Legien e David; in Francia e in Belgio, Renaudel, Guesde e Vandervelde; in Inghilterra, Hyndman e i fabiani, in Italia, Turati, Treves e la destra del Partito socialista. Tutti costoro operavano di fatto per « gli interessi della propria borghesia nazionale e del proprio Stato », contro quelli del proletariato che pure, in quanto « socialisti », erano chiamati a rappresentare.

Lenin intende pertanto stabilire l'autentica concezione marxista dello Stato, inteso quale strumento dell'oppressione di classe, contro le deformazioni della dottrina operate dagli « opportunisti », i socialisti che intendono conciliare gli opposti interessi di classe, il cui più autorevole rappresentante è il tedesco Karl Kautsky, « il capo più noto di quella II Internazionale così miseramente fallita nel corso della guerra ».

  1. ^ Lenin, Opere, vol. 25, 1967, p. 475.
  2. ^ Lenin, Stato e rivoluzione, in Opere, vol. 25, cit., pp. 363-364.

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